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Introducing Etta

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Primavera di novità, da queste parti.
La più importante è che ho abbandonato la nutrita schiera dei precari. Da qualche manciata di settimane il dorato mondo della TWU’ ha deciso che un paio di lustri di onesto precariato fosse un purgatorio sufficiente, e mi ha assunto – incredibile ma vero – a tempo indeterminato.
Questo ha portato ad un’altra novità, che sarebbe la Etta del titolo.
Piccolo passo indietro: il giorno dopo aver ritirato dal concessionario la mia macchina nuova fiammante, cinque anni fa, ho avuto un incontro ravvicinato con altre tre macchine, in un sottopassaggio. Praticamente, un tamponamento a catena. (io ero l’ultima. Cioè, la prima. Insomma, quella che – bellina – manteneva la distanzadisicurezzadalveicolocheprecede, quindi mi sono fermata in tempo per evitare di tamponare un’altra auto, ma non per evitare il tamponamento della mia) Un mese dopo, un altro incidente. Passano due settimane, e ancora un altro tamponamento.
La mia povera macchina non aveva neanche sei mesi di vita, e io ero demoralizzatissima, perché passavo più tempo dal carrozziere che in giro coi finestrini aperti e lo stereo a tutto volume. Che ingiustizia.
Durante una serata lievemente etilica in giro con gli amici (siano benedette oraeneisecolideisecoliamen le serate lievemente etiliche in giro con gli amici – specialmente quando sei triste, e specialmente visto che la mia elevata tolleranza alcolica mi rende la depositaria eletta, in quanto spesso unica sobria, di conversazioni e dettagli che sarebbe un peccato venissero perse tra i fumi dell’acool) V mi apre gli occhi.
“Beh, ci credo che continua a fare incidenti.” Sguardo vacuo: “Ma continua… chi?” “Come chi? La macchina! E’ depressa, poverina, e sta cercando di suicidarsi, perché ancora non è battezzata.” “Fammi capire bene: mi stai dicendo che la mia auto va a sbattere contro qualunque veicolo/palo/corpo estraneo sufficientemente resistente per provocare a lei danni dai quattrocento euro in su e a me ripetute crisi di nervi… perché non ha un nome?”
Illuminazione.
Se avete passato i trenta, sicuramente avrete visto n volte “La Storia Infinita”. Quello dove tra cavalli risucchiati dalle sabbie mobili (non fidatevi mai di qualcuno che non abbia versato almeno un ettolitro di lacrime insieme ad Atreju nelle Paludi della Tristezza. Povero Artax.) e letali Sfingi enigmatiche, alla fine si scopre che tutto quello che doveva fare quel tontolone di Bastian per salvare dal Nulla il Regno di Fantasia è… dare un nome all’Infanta Imperatrice.
E quindi si è aperto il toto-nome. “Allora anche la tua macchina ha un nome?” “E’ chiaro.” “E come si chiama?” “Giuditta.” “Va bene, questo lo scarto.” In quel mentre, arriva il cameriere: “Per chi è il margarita?” “Ma è perfetto!” “Nel senso che il cocktail è buono?” “Nel senso che ho appena trovato il nome per la mia macchina”.
Che infatti, da quella lontana sera, per tutti è semplicemente Marga.
E qui arriviamo a Etta. Che non è una dichiarazione d’amore per una cantante jazz dei primi anni ’50, ma il nome della mia casa, anzi: della mia casetta (la fantasia è una delle mie virtù più apprezzate).
Da ieri, sono ufficialmente felice affittuaria di una minicasa tutta per me.
Il fatto che ancora non abbia un letto è un dettaglio irrilevante. In compenso, ho convinto il padrone di casa che non avrei mai potuto vivere in una casa sprovvista di forno – pensandoci, l’inquilina precedente era molto molto magra – e così adesso ho una cucina nuova fiammante.
I fuochi ci sono, i divani-letto ed il tavolo arriveranno tra pochi giorni, gli amici si stanno organizzando in turni per le cene, come in crociera. M. in un accesso di fiducia e ottimismo mi ha già regalato una piantina (giuro che m’impegnerò perché arrivi almeno a vedere l’inizio dell’estate) e ho cooptato amici muniti di spalle ampie, macchine capienti e buona volontà.
Etta, signori, è quasi pronta.

Farfalle

farfalle“Farfalle nello stomaco. Tantissime.
Uno stormo di farfalle nello stomaco”
“Guarda che per le farfalle non si dice «stormo». Si dice «sciame»
“Falle andare via”
“Non posso, sono troppe. Ti spaventano?”
“Si”
“Vuoi che rimangano?”
“Si”

[Primavera, farfalle, una paura bella]

La Torta di Formiche Morte (Foodblog for dummies)

E da oggi inizio anche qui a condividere una delle cose che mi riescono meglio, oltre a passare i pomeriggi a leggere, fare il the e mettermi lo smalto perfettamente: cucinare. Chi mi segue su Twitter o Instagram (fantasia al potere: sono miparevastrano dappertutto)  e conosce ogni variazione di temperatura del mio umorale forno già lo sa: quando non mangio, io cucino. Spesso in verità cucino anche mentre sto mangiando, ma non sottilizziamo.

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Stampelle e mignolini

ImageIncappo in questa lettera (non proprio d’amore) a Cupido.

Mi colpisce molto un passaggio, questo:

Vorrei ricordarti, caro Cupido dimmerda, che vinci facile a far accoppiare le persone lineari, quelle che sono progettate per vivere in coppia, quelle che hanno un ego pieno di buchi da far riempire a un altro ego pieno di buchi, perché senza una stampella al mondo non sanno starci. Mentre noi sai cosa facciamo, quando tu giochi a freccette coi dilettanti?, lo sai cosa facciamo noi anime tormentate? Ce li stucchiamo da sole, i crateri nell’anima e, nel frattempo, ci dimentichiamo cosa sia sentirsi sicure tra le braccia di un uomo, ci dimentichiamo cosa significhi essere una priorità per qualcuno e avere qualcuno che sia una priorità per noi.

Tralascerò la tenerezza dell’autrice ventottenne (!) che è sola da ben (!) tre anni e sta cominciando a innervosirsi, ché io ho un bel po’ più di anni addosso, sia sulla carta d’identità che sulla patente di single, e mi concentrerei su un altro aspetto:  gli amori-stampella. Read the rest of this entry

Le cose in comune

emmaNo, non sono le 4850 di silvestriana memoria. Quando raggiungi una certa età e sei single, le cose in comune sono quelle (le più improbabili, di solito) che le amiche si ostinano a trovare tra te ed ogni esemplare maschile da loro conosciuto. In realtà, l’unica cosa che davvero avete in comune finisce per essere la più lapalissiana, ovvero: entrambi siete single. Read the rest of this entry

Popcorn

popcornConsiglio del giorno: scegliete bene i vostri amici. Potrebbero essere nutrizionisti. E sarebbero guai seri, se per caso apparteneste – chessò – alla categoria di quelli che mangiano schifezze con molto gusto, ma con altrettanta ostinazione rifiutano (quasi) ogni tipo di attività fisica. Read the rest of this entry

Se l’avesse cantata così

diaperQualche anno fa scopro questo video: Mia Martini, durante uno degli ultimi concerti, racconta al pubblico un aneddoto legato a “Gli uomini non cambiano” e a Fabrizio De André. Prima di presentare quello che è probabilmente uno dei suoi brani più famosi a Sanremo nel 1992, la cantante ha qualche perplessità circa un particolare verso: “Gli uomini che nascono / sono figli delle donne / ma non sono come noi”. Allora chiede a De André un consiglio su come poter cambiare quelle frasi – scritte, neanche a dirlo, da tre uomini –  che lei considera un po’ troppo scontate, ovvie. Fabrizio risponde così:

Eh, cosa vuoi dire… “Gli uomini non cambiano, sono figli delle donne ma si fanno i cazzi suoi.” Read the rest of this entry

#Leaveamessage 2012 – Spread the Love!

pooh Ognuno ha i guru che si merita. Io ho l’orsetto Pooh. E come insegna il mio guru, l’amore lo senti. Ma l’amore lo puoi anche leggere, e trovare sotto forma di bigliettino… Per il secondo anno consecutivo, su iniziativa di Chiara, torna Leaveamessage. Read the rest of this entry

Quando fuori è mattina presto

[Avvertenza: non mi sono dimenticata, eh… Alla fine del post, l’estrazione del vincitore del mio giveaway 🙂 Grazie a tutti per aver partecipato!]

E’ passato un mese dal mio ultimo post. In questi trenta giorni, sono stata urgentemente – nel senso di: “Ciao! Il tuo contratto è pronto, inizi domani” – richiamata in servizio nel dorato mondo della TWU’. Cambiata la mia condizione lavorativa (anche se rimango sempre un’allegra precaria), sono cambiate anche le mie mansioni. Adesso mi occupo di attualità: telegiornali, giornali radio e… il notiziario del mattino. Che va in onda alle 07:30, e per preparare il quale devo essere in redazione alle 05:30. Sveglia: un’ora e mezza prima, perché mi piace fare le cose con calma. Per l’appunto, quando fuori è mattina presto. O notte tardi, a seconda dei punti di vista. (Per chi mi ha detto: “Vabbè dai, tanto poi ci fai l’abitudine a svegliarti alle quattro.” Eh no. Perché sono turnista, e  miei orari di lavoro cambiano di settimana in settimana, e pure all’interno della stessa settimana, quindi.. NO.) Il primo giorno di questo turno da allodola, la radiosveglia era sintonizzata su questa canzone.

“Tutto quanto mi sembra giusto/ quando fuori è mattina presto/ ogni via ha ancora un suo colore/ per farle tutte uguali basteranno due ore/ ed io mi guardo in giro/ e nella piazza soltanto cielo….”  – Gianni Togni, Semplice Read the rest of this entry

Una città, un compleanno, un giveaway

Una città: Parigi!

Appena rientrata sono stata catapultata in un mare di faccende da sbrigare, problemi da affrontare e incombenze più o meno piacevoli da svolgere, ed ho sempre rimandato il resoconto delle mie due settimane parigine, ma… è stato bellissimo! Come prima cosa, il mio soggiorno nella Ville Lumiére mi ha portato a convincermi che i francesi sono un popolo di ipocondriaci. In nessun’altra città ho visto un numero così elevato di farmacie e parafarmacie (parafarmacie?): se proprio dovete scegliere una città all’estero per sentirvi male di brutto, fate che sia Parigi. Ho vissuto da turista part time, diciamo: non mi sono sottratta a nessuna delle tappe obbligate del perfetto neofita in terra d’Oltralpe, e ringrazio nuovamente tutti coloro che mi hanno fornito consigli e dritte: il Louvre, Notre Dame, il Sacro Cuore, Versailles e Disneyland, il Museo d’Orsay e Les Invalides, Place de La Concorde e la tomba di Napoleone, l’Arco di Trionfo e i vicolini di Montmartre, insomma… tutti i posti che ci si aspetta tu abbia visitato quando dici “Sono stata a Parigi”. Però, come forse ricorderete se avete seguito la mia permanenza londinese l’anno scorso, una delle cose che in assoluto io amo di più quando sono in un posto nuovo è girellare senza meta, perdermi, sperimentare quel vago senso di indefinitezza del “non so dove sono, e per ora va bene così”. Complice il fatto che l’amica da cui ero ospite durante il giorno (a volte anche la sera) era al lavoro, ho avuto modo di girare per conto mio molto spesso, il che mi ha permesso di trovarmi in quelle che io chiamo situazioni  da blog. Una per tutte (e ce ne sono state molte): su suggerimento di Labna (grazie Jas!), una sera sono andata da sola a cena da Chez Paul. Il ristorante lo consiglio vivamente: cibo ottimo, il migliore foie gras che abbia mangiato a Parigi, Tarte Tatin ottima, Bordeaux buonissimo. Non economico, ma decisamente vale ogni euro che spenderete; su questo argomento ho ampiamente dibattuto con la mia amica, la quale sostiene che non abbia senso spendere tutti questi soldi per qualcosa che (cito testualmente) tanto poi finisce nel cesso. Io, come ben sa chi mi conosce, sono invece una convinta sostenitrice della tesi: la cultura enogastronomica è elemento essenziale per capire e conoscere un luogo ed i suoi abitanti, e se è vero che noi siamo quello che mangiamo, col cavolo che io voglio essere un panino moscio, un’insalata appassita e un bicchiere di vino che sa di tappo. Per la cronaca, ho ordinato Foie gras de canard mi-cuit “Maison” come antipasto, Filet de bœuf, sauce béarnaise ou poivre come portata principale e Tarte Tatin avec le pot de crème fraîche per dolce. Mezzo litro di Bordeaux, acqua e caffè: il conto si aggirava sui 60€, e quel foie gras – e anche il cameriere che me l’ha servito, tra l’altro… – me lo sogno ancora di notte. Insomma, io ero lì, seduta ad un tavolino fuori dal ristorante, sulla strada, che consultavo il menu, solo in francese. Ad un certo punto il signore di fianco a me, che stava cenando con la moglie in un tavolino attaccato al mio, sulla sinistra, mi consiglia di ordinare una particolare pietanza. Rispondo col mio francese stentato che purtroppo non parlo bene la lingua, e così iniziamo a chiacchierare in inglese. Mi chiedono della situazione politica italiana, finiamo per parlare di Berlusconi e Hollande, Merkel e Monti, spending review e Stato Vaticano, scandali e intercettazioni, ma anche del viaggio in Italia che hanno fatto da giovani, della bellezza della Galleria dell’Accademia a Firenze, del David di Michelangelo e del trasloco del figlio che si sta trasferendo a Parigi da una cittadina vicina e che loro sono venuti ad aiutare: due persone gradevolissime. Quando finiscono di cenare e si alzano per andar via, attacca bottone il signore seduto alla mia destra (chi ha mai detto che i francesi sono scostanti?), arzillo ultrasessantenne accompagnato ad una ragazza che dev’essere stata più giovane di me. Lui si chiama Norbert, ed è un fan accanito del cinema italiano: parliamo per un’ora di Vittorio Gassman ne Il Sorpasso, della classe di Claudia Cardinale nel Gattopardo, Sophia Loren e Monica Vitti. Lei si chiama Carolyn, viene da Copenhagen ed è in Francia per studiare. Ci divertiamo constatando che la scambiano sempre per italiana o spagnola, grazie alla carnagione olivastra  e la chioma corvina, per niente in linea con l’idea classica di “bellezza nordica”; io, al contrario, vengo regolarmente presa per anglosassone, in virtù dell’incarnato pallido e delle lentiggini. Dovevo cenare al volo e rientrare a casa prima che calasse il sole, il risultato è che mi sono seduta alle 19 e alzata a mezzanotte. E’ uno dei ricordi più belli della mia vacanza. Read the rest of this entry